Quando l’ex coniuge superstite ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge deceduto

Nicola Spadavecchia e Roberto Sgherza, Avvocati
Un'analisi di uno dei casi particolari previsti dalla legge sul divorzio
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Il divorzio scrive la parole fine al matrimonio, ma a volte il divorziato – che non si sia risposato e percepisca un assegno divorzile periodico (non liquidato, dunque, in unica soluzione) – può ancora batter cassa e reclamare, in caso di decesso dell’ex coniuge, la pensione di reversibilità da questi maturata, a condizione che il rapporto di lavoro da cui derivi il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza divorzile.

Dunque, in caso di morte di uno dei due coniugi divorziati e se sussistono certe condizioni, di seguito approfondite, l'ex coniuge superstite ha diritto a ricevere la pensione di reversibilità (che è una quota della pensione di una persona defunta che spetta a chi ne è stato coniuge).

A prevederlo è l’articolo 9 della L. n. 898/1970 (legge sul divorzio), ove si fa espresso riferimento ai tre requisiti – percezione di assegno divorzile, stato civile libero del superstite e rapporto di lavoro del defunto anteriore alla sentenza di divorzio – necessari affinché possa accertarsi il diritto dell’ex a godere del trattamento di reversibilità.

Con riguardo al primo requisito, il coniuge divorziato deve già percepire dall’ex coniuge defunto un assegno divorzile versato con cadenza periodica: in altri termini, se al momento del decesso il coniuge superstite non aveva diritto all’assegno (perchè tale diritto non era mai stato riconosciuto o perché era stato riconosciuto e poi revocato) o se aveva ricevuto l’assegno di divorzio in un’unica soluzione, non avrà diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto (la Suprema Corte – sentenza n. 9660/2013- rimarca inoltre che il diritto in questione presuppone la titolarità, in capo al divorziato, di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, “non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo, e neppure che in via di fatto, o per effetto di private convenzioni intercorse fra le parti, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche dall’ex coniuge“).

Quanto al secondo requisito, il coniuge divorziato superstite non deve essersi risposato (se il coniuge divorziato superstite è convivente con un soggetto terzo, ciò non comporta di per sè la perdita del diritto alla reversibilità).

Il terzo requisito, sopra già anticipato, è quello della anteriorità del rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico rispetto alla sentenza di divorzio.
Esaminate le condizioni per accerdere a tale diritto, è interessante approfondire il caso particolare in cui l’ex consorte deceduto abbia contratto un secondo matrimonio e, per l’effetto, abbia lasciato un coniuge superstite (quello di seconde nozze), oltre all’ex coniuge superstite (quello di prime nozze).

Secondo la norma, nella ripartizione delle quote, occorrerà tener conto della durata dei vincoli matrimoniali. Trattasi di criterio cardine, ma non esclusivo, come statuito con sentenza n. 419/1999 dalla Corte Costituzionale, che ha chiarito che l’articolo 9 della legge sul divorzio, pur imponendo al giudice il vaglio del dato temporale dei vari vincoli coniugali (la cui valutazione non può quindi mancare), non prevede che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra gli aventi diritto sia effettuata unicamente sulla base di tale criterio.

Pertanto, il parametro della durata dei matrimoni deve ritenersi elemento preponderante, e spesso decisivo, ma non esclusivo, potendosi e dovendosi vagliare anche altri fattori, quali le condizioni personali, economiche e reddituali delle parti o l’ammontare dell’assegno divorzile. Così – puntualizza la sentenza n. 5136/2014 della Cassazione – ferma la discrezionalità del giudice, se questi si discosta dal parametro base per dare priorità ad altre circostanze, deve “rendere una motivazione esaustiva e logica delle ragioni che lo hanno portato a tale decisione”.

Possono incidere sul calcolo, poi, anche la data di separazione, l’eventuale presenza di figli, l’assistenza fino alla morte prestata al defunto (Suprema Corte, sentenza n. 6019/2014), e addirittura la convivenza prematrimoniale del coniuge superstite con il defunto (Tribunale di Roma, sentenza n. 58/2015). Con riguardo a quest’ultima recentissima sentenza del Tribunale di Roma, si legge in motivazione che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra ex coniuge superstite e vedovo non può ridursi al mero computo matematico operato alla luce della durata dei due matrimoni, dovendosi considerare, tra gli altri correttivi, anche l’effettiva “comunione di vita” tra il defunto ed il secondo consorte, stante l’ormai indiscussa equiparazione tra convivenza more uxorio e famiglia legittima. La ratio di tale interpretazione sta nell’evitare che “il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio” e che “il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita”.

É bene chiarire, tuttavia, che, se la convivenza prematrimoniale conserva una sua rilevanza nel computo delle quote da attribuire a ex coniuge divorziato e coniuge superstite, la mera unione di fatto che non sia stata “regolarizzata” da un successivo matrimonio non fa scattare alcun diritto del convivente a fruire della pensione maturata dal defunto. In pratica, se l’ex coniuge defunto non si è risposato (pur avendo intrapreso una convivenza con un soggetto terzo), la pensione di reversibilità spetterà solamente al coniuge divorziato superstite.

Concludendo, se quando si divorzia si ha voglia di guardare solo avanti, è sempre bene però guardarsi ogni tanto indietro… non si sa mai.

giovedì 19 Novembre 2015

(modifica il 6 Febbraio 2023, 10:34)

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