Attualità

Uso e gestione delle acque reflue. Come fare?

Luigi Caputi
Un momento della conferenza di ieri dell’Osservatorio del mare a Molfetta
L'evento promosso dall'Osservatorio del mare a Molfetta
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Perché tutto continui, torni a scorrere liscio. Perché il rifluire delle acque non determini un defluire della sostenibilità ambientale, non intacchi l’ecosistema e la vivibilità della nostra terra.

La conferenza tenutasi ieri sera in palazzo Turtur si è fondata su simili convinzioni e auspici. Ha avuto luogo nel centro storico molfettese un dibattito aperto, intitolato “Gestione sostenibile delle acque reflue” e organizzato dall’Osservatorio del Mare a Molfetta in collaborazione con Legambiente e con il patrocinio morale del Comune.

Dopo le brevi affermazioni introduttive di Maddalena De Virgilio, presidente dell’OMM, è intervenuto Marcello Mastrorilli. Il direttore della sede barese di CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) si è soffermato sulla convenienza e esigenza di far rivivere tutto o molto di ciò che è refluo in ambito agricolo. “Ormai ci troviamo- ha affermato- in un mondo basato su un’economia circolare. Non c’è più la linearità di materie prime, produzione e consumo; adesso tutto va riciclato, rimesso in circolazione, nulla cessa di avere una funzione. Per l’agricoltura, in linea con tale tendenza, andrebbero predisposti una sistematica depurazione e un significativo riuso delle acque reflue. Una simile soluzione si presenta in particolar maniera necessaria nella nostra regione”.

La Puglia dispone infatti di scarse risorse idriche; è interessata dal sovra-sfruttamento delle falde e dal frequente scarico di reflui urbani nel sottosuolo; è attanagliata da un’energica pressione sociale. Mastrorilli ha evidenziato come nel territorio pugliese siano collegati all’irrigazione campestre soltanto quattro impianti depuratori (quelli di Fasano Forcatella, Ostuni, Corsano e Gallipoli).

Il direttore di CREA ha comunque riconosciuto, al netto degli indubitabili benefici ambientali e dei risparmi economici, i tre rischi connessi al riutilizzo irriguo delle acque di scarico: rischi di tipo igienico, sanitario-ambientale e agronomico.

A proferir parola è stato quindi Massimiliano Piscitelli di Legambiente Molfetta. L’ingegnere ambientale ha affrontato la questione della gestione sostenibile dei reflui nella città di Molfetta. “L’impianto di depurazione presente nel nostro comune- ha detto- è stato e continua ad esser danneggiato da operazioni illegali e atti vandalici, e attualmente necessita di interventi di rifunzionalizzazione. A differenza dei depuratori di Bisceglie, Corato e Ruvo-Terlizzi, il nostro depuratore non funziona”.

Piscitelli ha posto in rilievo il severo giudizio che ha riguardato Molfetta in un’indagine dell’ARPA Puglia (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) sullo stato ecologico delle coste. Il nord barese, con il comune molfettese in posizione di ben poco invidiabile centralità, è stato considerato la maglia nera della regione.

La zona gravitante attorno a Bari, l’area di maggiore importanza industriale e densità di popolazione, risulta anche quella ecologicamente più problematica e carente.

L’intervento successivo è stato di Giovanni Facchini, ventiquattrenne molfettese laureato in Giurisprudenza e studioso di diritto della navigazione. Ha fornito all’uditorio un inquadramento normativo della gestione delle acque reflue, con riferimento concreto al recente caso dei comuni di Avetrana, Sava e Manduria. Queste tre città salentine hanno orchestrato nel 2003 un accordo finalizzato a richiedere alla Regione la possibilità di riutilizzo agricolo delle acque di scarico.

Nell’atto della richiesta le tre amministrazioni hanno fatto leva sugli svantaggi in termini di inquinamento della condotta marina e sugli opposti benefici derivanti dal riuso irriguo ed agricolo. “La normativa europea e italiana- ha precisato Giovanni Facchini- garantisce la temporaneità, reversibilità e modificabilità della condotta sottomarina. I comuni di Sava, Avetrana e Manduria hanno dimostrato, con il conseguimento nel 2017 dell’oggetto della loro richiesta, che una delibera regionale deve essere elastica, flessibile, posta in discussione di fronte alle necessità ecologiche”.

Il dibattito è proseguito con le parole di Leo Murolo, progettista navale e mente che ha partorito “Ulisse”. Ci riferiamo, tramite quest’ultimo titolo mitologico, alla nave più ecologica del mondo. L’ingegnere navale molfettese ha parlato di gestione delle acque reflue a bordo delle navi. “Una nave passeggiera- ha rivelato- produce in media 75 tonnellate di acqua di scarico al giorno. Nei miei progetti ho cercato, attraverso processi chimici, di eliminare i liquami in eccesso e di ridurre il volume dei reflui. Inoltre ho pensato di riconvertire a carburante la componente più solida dei liquidi espulsi dalla nave”.

L’intervento conclusivo di Maddalena De Virgilio è consistito in un accurato quanto conciso focus sui bioindicatori di qualità delle acque marine. In particolare, tramite il bioindicatore del “posidonieto”, adoperato sul tratto di costa tra Barletta e San Vito dei Normanni, si è riscontrata una consistente situazione di epifisi, ovvero di inquinamento e impoverimento della fauna marina. Tra le cause del danneggiamento sono da annoverare gli scarichi fognari, alcune forme invasive di pesca a strascico e le opere portuali.

Dibattiti come quello di ieri sera cercano di incanalare in un’ottica di sensibilità ambientalistica il panta rei eracliteo.

sabato 26 Maggio 2018

(modifica il 29 Luglio 2022, 13:14)

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