Gli esseri umani nascono in un mondo fatto di parole e di codici non verbali. L’avventura dell’educazione nasce nella parola, nel suo farsi dalla lallazione fino alle prime invenzioni linguistiche del bambino.
Un universo accade, nel frattempo, fatto di scambi di sguardi e di espressioni facciali, di movimenti del corpo e di abbracci. E quell’avventura non finirà con l’accrescersi del vocabolario perchè i genitori e gli educatori, in generale, sanno che educare non è solo insegnare parole, ma testimoniare soprattutto il significato che attribuiamo al linguaggio e a termini come “bellezza”, “verità”, “giustizia”, “amore”.
Nella sua Introduzione alla Metafisica Heidegger scrive che “parole e lingua non sono come cartocci che servano unicamente ad involgere le cose per il commercio del parlare e dello scrivere. È solo nella parola e nella lingua che le cose divengono e sono”.
Questa riflessione è tanto più significativa se commisurata all’ambiente massmediale nel quale siamo immersi e in cui, spesso distrattamente, lasciamo i più piccoli, i più giovani, privi di protezione: dall’invasione di messaggi e di informazioni, da modelli di comportamento e stili di comunicazione, da logiche di marketing e di manipolazione dei desideri, da relazioni on line non rispettose dei loro diritti e della loro dignità.
Non parliamo, certo, di una protezione perseguibile esclusivamente con sistemi di parental control, sebbene utili e indispensabili a salvaguardare l’ambiente on line in cui si incontrano i più giovani. Ci riferiamo a quella protezione che si alimenta con la cura per la relazione, con l’attenzione a costruire una comunicazione tra generazioni, sempre più a rischio di deriva, se gli adulti non recuperano il gap tecnologico e il senso del proprio ruolo educativo.
La dieta multimediale, infatti, cui sono sottoposte le nuove generazioni impatta sulle strutture cognitive (attenzione, capacità di memorizzazione e costruzione logica), sul nostro linguaggio e la qualità delle nostre relazioni? Oppure i dispositivi tecnologici e i social slatentizzano le carenze delle nostre relazioni e il nostro disorientamento di adulti? A questi interrogativi hanno risposto Rosy Paparella, già Garante dei diritti dei minori, e Nilde Salvemini, educatrice presso il carcere minorile di Bari, nel secondo incontro di in-formazione dedicato ai genitori, all’interno del Piano di prevenzione e contrasto al cyberbullismo dell’IC Manzoni-Poli di Molfetta, tenutosi il 4 dicembre presso l’Auditorium della Scuola Poli.
Il dialogo tra le ospiti, i genitori, i docenti e gli alunni è stato introdotto dal dirigente scolastico, Gaetano Ragno, che ha richiamato gli adulti presenti al valore dell’impegno educativo nel trovare un equilibrio tra controllo e libertà, nell’aiutare i propri figli a usare internet e i nuovi dispositivi digitali.
È stato, altresì, posto l’accento sulla responsabilità che gli adulti hanno di conoscere i bisogni reali e autentici dei bambini e dei giovani per poter offrire una forma di comunicazione che non sia ad una dimensione e incapace di senso. Paparella, infatti, nel ricordare i pregi dei social e dei dispositivi in una società caratterizzata dalla mobilità, in quanto garantiscono contatti e relazioni umane, che diversamente sarebbero profondamente limitati, ha riportato l’attenzione dei presenti sulla differenza sostanziale tra connessioni e relazioni.
Sebbene si moltiplichino gli studi sui cambiamenti delle abitudini sociali prodotti dalla realtà aumentata dalla rete e dalla dimensione virtual, non sembrano, infatti, modificati i bisogni umani di intimità e di accoglienza, cui il mondo virtuale può rispondere in modo non univoco e non certo esaustivo.
La necessità dell’ascolto e di una interazione fatta anche di conflitto costruttivo e orientativo, come è emerso dall’intervento della Salvemini, conferma quanto afferma U. Galimberti ne “L’ospite inquietante”: “La tecnica, infatti, non tende ad uno scopo, non promuove uno scopo, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica funziona”.
In definitiva, quando si affievolisce la responsabilità perché scompare il contatto fisico tra le persone, quando non si percepiscono le conseguenze del proprio agire e dire, perché si realizzano lontano dal nostro pushing, quando si preferisce il verosimile o la finzione alla realtà, si ama ammaliare piuttosto che dialogare, manipolare anziché incontrare e confrontarsi, ciò che accade non è un sortilegio prodotto dalla tecnologia. Stiamo scegliendo. Stiamo rinunciando a usare eticamente la tecnologia, nell’illusione che nel “villaggio globale” non ci sia bisogno di regole e di relazioni per costruire comunità. E le relazioni nascono e si alimentano nello sguardo dell’essere umano e nell’accoglienza, come senso profondo dei versi di Chandra Livia Candiani, con cui la Paparella ha salutato i ragazzi e gli adulti presenti, invitando i genitori al prossimo appuntamento il giorno 15 dicembre, con il dott. Carnimeo della Polizia Postale di Bari, presso l’Auditorium della Scuola Media Poli.