Cultura

La “bambina” Iole de Pinto presenta la sua opera

Pasquale Caputi
A recensirla è il Prof.Francesco Bellino. Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto all'ANT.
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“Anche quando scrive in prosa, è poetessa”.
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rnCosì il prof. Francesco Bellino, direttore del dipartimento di bioetica presso l’Università di Bari, nonché docente di filosofia morale, critico e poeta, parla di Iole de Pinto, autrice del libro “Una bambina”, presentato giovedì alla Fabbrica di San Domenico, il cui ricavato sarà devoluto all’ANT (Associazione Nazionale Tumori). 
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rnPoeta è, per Bellino, chi ha un peculiare sentimento del mondo, chi guarda all’universo con la leggerezza e spontaneità di un bambino, chi vi si pone come un fanciullino, dice citando Pascoli. E Iole de Pinto rientra a pieno titolo nella categoria poetica: nell’opera presentata ella scinde se stessa dall’autrice, riesce nell’impresa di non sdoppiare “io” e “me”.

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Impresa ardua, spiega Bellino, perché è quasi inevitabile che, durante la costruzione dell’opera, intervengano forme di riflessione che si frappongono tra pensieri e parole, tra scrittura mentale e pagina scritta.
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rnL’ineluttabilità del processo di scissione, lo straniamento che caratterizza lo scrivere, è però ”quasi” inevitabile. L’impossibilità di generalizzare l’affermazione deriva, a detta del relatore, dall’anima bella di un poeta. Costui, quando guarda in sé e si volta indietro, riesce a farlo con la sensibilità di un bambino, elimina gli ostacoli del tempo, non è un attore che recita il copione di un bambino con l’esperienza di un adulto.
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rnEcco perché Iole de Pinto è definita “una bambina”. Una bambina non è solo il titolo di questa particolare forma autobiografica (particolare perché in essa convivono prosa e poesia). Una bambina è la condizione di eccellenza di una poetessa, il miracolo di un tempo che sembra fermare le lancette del destino e bloccarsi ad una perenne condizione infantile.
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rnLa de Pinto è sempre quella bambina che amava la lettura: un amore catulliano il suo, condito di odio e insofferenza verso quelle pagine che non insegnano a vivere, ma a soffrire. Da qui si sviluppa il tema del ripudio della letteratura, di una magistra vitae troppo poco esperta di cose delle vita per poter godere di un amore incondizionato.
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rnCosì la letteratura diventa cifra di un’esistenza. Vuoi staccartene ma non puoi, come gli amori più belli e durevoli, come le passioni più intense, che ti attraggono al di là della fredda e calcolata razionalità. Così spesso il poeta è un inetto, inesperto della vita, incapace di sporcarsi le mani nella terrestre materialità delle vicende quotidiane.

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Bellino è ben attento, però, a specificare il senso di questa inettitudine: paradossalmente solo chi si è formato sui libri ha gli strumenti per poterli ripudiare; solo chi riflette sui versi di una poesia o sulla trama di un romanzo può intuirne i limiti. Altrimenti si passa dalla saggezza alla saccenza, dall’invito socratico a non sapere all’ignoranza di chi giudica come uno sprovveduto.
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rnE quella bambina un po’ narcisa che costruisce la sua identità su montagne di pagine scritte diventa la poetessa di oggi che si volta indietro e si guarda così come era: una fanciulla ingenua che ama leggere.
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rnLa poesia della de Pinto, dice Bellino, è colma di espressioni plastiche e visive, ma soprattutto trasuda storia. Perché ogni poeta ha una storia da raccontare e se essi tacessero, perderemmo le nostre radici. La memoria storica, il valore delle radici è un altro tema della poesia della de Pinto: il linguaggio è colloquiale e molfettesizzato, teso a ritrovare se stessa, a riappropriarsi delle sue origini, a ritrovare la personalità smarrita.
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rnNon è solo la storia di una bambina, ma di una poetessa innamorata, delusa e ritrovata, di una donna ingenua, smarrita e finalmente (forse) felice.

sabato 27 Ottobre 2007

(modifica il 7 Agosto 2022, 1:56)

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