L’ultima sfilata risale ormai al lontano 2012. La prima edizione patrocinata dall’Amministrazione Comunale si svolse, per iniziativa del Sindaco on. Michele Del Vescovo, dal 20 al 22 febbraio 1955 in un fantasmagorico scenario di addobbi e luminarie e sotto una fitta pioggia di coriandoli, stelle filanti e confetti.
Settant’anni dopo cosa dire se non che il Carnevale a Molfetta è ormai solo un ricordo sbiadito per coloro (pochi ndr) che lo ricordano e lo hanno vissuto in prima persona.
Risulta però inutile, per usare un linguaggio colorito ed allegorico, ripetere sempre lo stesso taluerne ogni anno e ad ogni carnevale: l’auspicio è che questa tradizione – legata anche ad un fatto economico – possa ritornare a vivere i fasti di un tempo perché il Carnevale è una cosa seria. Fatti memorabili che indubbiamente i figli del Maestro Vincenzo Modugno ha da raccontare dato che anche la sua famiglia viveva il Carnevale.
«Per mio padre (mancato nel 2010 e che quest’anno avrebbe compiuto 100 anni) il Carnevale era una cosa seria» ci racconta Giuseppe, uno dei figli.
«È chiaro che ci fosse prima il lavoro, la famiglia e tutti i sacrifici ad essi connessi. Ma il Carnevale dell’epoca – che iniziava a settembre e finiva con la demolizione dei carri – era per persone tenaci. Un anno – ci racconta – accadde che lo sfondo di un carro non era stato approntato in tempo e ricordo lucidamente mio padre lavorare giorno e notte nel suo magazzino. Oggi può sembrare quasi normale – aggiunge – una cosa del genere ma dobbiamo considerare negli anni ’60 un padre di famiglia che trascorre la notte fuori casa, addirittura lavorando”. Come se non bastasse – aggiunge il figlio Giuseppe – il “magazzino” dove venivano realizzati era la casa dove mio padre era nato ed aveva vissuto da bambino». Più familiare di così.
I carri, la passione per l’arte pittorica, erano occasioni per ampliare o rinsaldare nuove e vecchie amicizie: «Non posso non citare il prof. Catacchio quando parliamo di carri allegorici; c’era una grande stima per il pittore Mimì Spadavecchia – con Vernice suo collaboratore – del quale mio padre aveva una grande stima considerandolo molto raffinato. Spesso- aggiunge – ha aumentato il valore delle figure rappresentate avendo lui un occhio particolare per le tinte» (che oggi chiameremo ‘armocromia’).
Nel panorama dei carri molfettesi, il cui carnevale era fra i migliori del Sud Italia, oltre Catacchio, Modugno e Spadavecchia, i cognomi legati alle rappresentazioni allegoriche molfettesi erano quelli di Ventura, Gagliardi, Favuzzi, Guastadisegno, Scardigno e de Candia. «E ricordo anche un tale Mést Gaggioénè che in Piazza Immacolata o comunque in quella zona della città realizzava carri poco rifiniti e veniva incoraggiato a partecipare dai ‘big’. C’era una sana competizione – chiude – ed anche stimolare e i piccoli artigiani nel realizzare qualcosa era un modo per tenere vivo lo spettacolo e questa bella tradizione».
Per ora, a Molfetta, viviamo solo la ‘quaresima’ del Carnevale. Sperando sia uno scherzo anche questo che dura da anni.
Si ringraziano i figli del Prof. Vincenzo Modugno per la realizzazione dell’intervista e per la concessione delle foto.
Avete dimenticato un’altro grande maestro, Domenico Spadavecchia del gruppo pittori edili di Molfetta.
Ricordo quando da apprendista lavoravo con loro e poi dopo il lavoro aiutavo il maestro con altre persone.
Nell’articolo, se lo rilegge, si fa menzione di Mimì Spadavecchia. E’ lo stesso al quale Lei si riferisce? Grazie per il suo contributo.