Come ripartire l’acqua in condominio

Nicola Spadavecchia e Roberto Sgherza, Avvocati
Il problema della ripartizione delle spese dell'acqua potabile all'interno di un condominio è annoso e spesso genera dissidi e contrasti tra i proprietari in sede di approvazione del consuntivo
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Il problema della ripartizione delle spese dell’acqua potabile all’interno di un condominio è annoso e spesso genera dissidi e contrasti tra i proprietari in sede di approvazione del consuntivo. Molti amministratori, dal canto loro, non sempre agevolano la soluzione del problema, ricorrendo alla adozione di criteri “personalizzati” di ripartizione che lasciano aperte diatribe e contestazioni fra i condòmini. Il problema diventa ancor più sentito quando nello stabile sono presenti attività commerciali che, per la loro natura, utilizzano l’acqua con maggior frequenza; si pensi, per esempio, ad esercizi commerciali quali bar, tintorie, ristoranti e pescherie, per i quali l’acqua è oggettivamente un elemento indispensabile. I consumi in quei casi crescono in maniera esponenziale e stabilire in quale modo i relativi costi debbano essere suddivisi tra i partecipanti al condominio diventa un dilemma.

I criteri attualmente adottati dagli amministratori sono diversi e tutti possono prestare il fianco a critiche o dar adito a diseguaglianze di trattamento tra i condòmini. Vediamo che succede.

Alcuni utilizzano ancora il metodo della ripartizione in base al numero degli alloggi; ma questo metodo è particolarmente odiato tra i proprietari, posto che non tutte le unità immobiliari sono abitate dallo stesso numero di persone, sicché è pressoché certo arrivino lamentele dagli immobili con meno occupanti (una coppia di anziani, oppure giovani sposi con un neonato, etc.), che evidentemente ritengono di consumar meno rispetto a famiglie più numerose. Un altro dei metodi utilizzati, che può ricorrere nei condomini dotati di un unico contatore d’acqua generale, è quello di suddividere l’importo totale della bolletta per il numero di persone presenti nel condominio. Si ipotizzi che un condominio riceva una bolletta di € 1000,00 per il consumo dell’acqua e lo stabile sia abitato da 50 persone. L’amministratore effettuerà il riparto della spesa imputando € 20,00 a chi vive da solo e ed € 80,00 euro alla famiglia composta da 4 persone. Anche per questo criterio di suddivisione, c.d. "equitativo”, non è estranea tuttavia la insorgenza di problemi: c’è sempre chi sostiene che un bambino consumi meno acqua rispetto ad un adulto, oppure che un appartamento potrebbe non essere abitato in modo continuativo dai proprietari oppure, ancora, che alcuni esercizi commerciali debbano avere un contatore a parte dedicato esclusivamente alla loro attività. In alcuni condomini, poi, la spesa per il consumo dell’acqua viene ripartita adottando il discutibile criterio del valore millesimale dell’appartamento.

Una cosa è certa in questa incerta materia: qualunque sia il criterio prescelto, i proprietari di casa sono sempre scontenti. E ciò per la obbiettiva ragione che, nella sostanza, i vari metodi, privilegiando questo o quell’altro aspetto della suddivisione, rivelano comunque limiti applicativi rispetto al fine ultimo di una ripartizione giusta ed equa per tutti.

Il Codice Civile non contiene alcuna specifica disposizione relativa alla ripartizione delle spese per il consumo d’acqua in condominio, anche se il principio più congruo al quale bisognerebbe attenersi è quello del calcolo effettuato sull’effettivo consumo di ogni singola unità immobiliare. Peraltro, solo un regolamento contrattuale, da tutti sottoscritto al momento del rogito, potrebbe porre deroghe a tale criterio.

Per risolvere la questione viene, innanzitutto, in aiuto un decreto ministeriale, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 1996, emanato in attuazione della c.d. Legge Galli (Legge n. 36 del 5 gennaio 199), recante “Disposizioni in materia di risorse idriche”, la quale all’articolo 5, comma 1°, aveva previsto: “il risparmio della risorsa idrica è conseguito, in particolare, mediante la progressiva estensione delle seguenti misure: …  installazione di contatori in ogni singola unità abitativa”. Il suddetto decreto impone regole ben precise sull’obbligo di installazione dei contatori di ripartizione del consumo dell’acqua in ogni singola unità immobiliare; in particolare, all’art. 8, paragrafo 2, punto 8, in tema di misurazione dei consumi, stabilisce: “La misurazione dei volumi consegnati all’utente si effettua, di regola, al punto di consegna, mediante contatori, rispondenti ai requisiti fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1982, n. 854, recepente la Direttiva Comunitaria n. 75/33. Là dove esistono consegne a bocca tarata o contatori non rispondenti, deve essere programmata l’installazione di contatori a norma. In relazione a quanto disposto dall’articolo 5, comma 1, lettera c), della Legge 5 gennaio 1994, n. 36, dove attualmente la consegna e la misurazione sono effettuate per utenze raggruppate, la ripartizione interna dei consumi deve essere organizzata, a cura e spese dell’utente, tramite l’installazione di singoli contatori per ciascuna unità abitativa. È fatto obbligo al gestore di offrire agli utenti l’opportunità di fare eseguire a sua cura, dietro compenso e senza diritto di esclusività, le letture parziali e il riparto fra le sotto utenze e comunque proporre procedure standardizzate per il riparto stesso. La disciplina degli eventi contenziosi deve essere prevista nel Regolamento di utenza”.

La normativa appena richiamata è stata poi ripresa dal Decreto Legislativo n. 152/2006 recante “Norme in materia ambientale”, che riunisce tutta la normativa su acque, suolo, rifiuti, etc., in un unico testo, abrogando le precedenti norme in vigore. In base all’articolo 146 di tale decreto legislativo, nell’intendo di confermare lo spirito e le intenzioni della previgente legislazione, si è demandata alle Regioni l’adozione di “norme e misure volte a razionalizzare i consumi ed eliminare gli sprechi e in particolare a: …installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa”.

Dunque, in virtù di quanto stabilito dalle norme in esame, deve ritenersi che ogni proprietario possa chiedere di mettere all’ordine del giorno dell’assemblea l’obbligo di installazione dei contatori in ogni appartamento e, in mancanza di accettazione della richiesta, possa agire personalmente per il riconoscimento di tale diritto adendo il Giudice di Pace (che ha competenza nella materia).
Anzi, alla luce della normativa vigente, risulta più che mai opportuno che ogni condominio persegua e realizzi anche nei fatti un criterio di equità nella ripartizione delle spese per il consumo d’acqua, decidendo, laddove manchi, di installare un contatore (denominato di sottrazione) per ogni singola unità immobiliare. Optando per tale soluzione, in adempimento delle indicazioni di legge, la bolletta relativa al consumo d’acqua dovrà essere calcolata in base ai consumi rilevati dal contatore generale, mentre la ripartizione interna avverrà sulla base dei consumi effettuati dai singoli condomini.
Non deve trascurarsi, poi, che, oltre ai consumi da utilizzo privato, esiste anche un consumo “comune” dell’acqua, come quello relativo all’innaffiamento del giardino o alla pulizia delle parti comuni. Questo ulteriore consumo, che potrà desumersi dalla differenza tra il totale riportato dalla bolletta e la sommatoria dei consumi di ogni singola unità immobiliare, dovrà essere ripartito diversamente, ovvero secondo i millesimi contenuti nella tabella condominiale “spese generali”.

In mancanza dei contatori di sottrazione, che misurano i consumi dei singoli immobili, le occasioni di contrasto sono inevitabili. In alcuni casi, i proprietari scontenti si sono rivolti all’autorità giudiziaria. All’uopo, può segnalarsi una recentissima pronuncia della Suprema Corte (Cassazione civile, Sez. II, 01/08/2014, n. 17557), che ha deciso in ordine alla ripartizione della spesa dell’acqua in un condominio con un unico contatore e privo di contatori di sottrazione per ogni singola unità. La controversia si originava da una singolare modalità di ripartizione delle spese per il servizio di erogazione dell’acqua potabile, adottata con delibera assembleare che aveva stabilito la suddivisione in proporzione al numero degli occupanti delle unità immobiliari, con esonero di quelle che risultavano disabitate.

La pronuncia parte dalla premessa che “le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”. I giudici della Suprema Corte, dunque, pongono come principio base quello che ispira il metodo dei contatori di sottrazione; e, infatti, proseguono: “l’installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi, salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio”. Con riguardo al caso concreto, poi, in cui le unità immobiliari sono non dotate di contatore di sottrazione, per tale ipotesi la Corte afferma: “il sistema dell’art. 1123 cod. civ. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all’erogazione dell’acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in base al numero di persone che abitano stabilmente nel condominio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo condomino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell’anno. Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i beni e servizi di cui i condomini godono indistintamente, basato su una corrispondenza proporzionale tra l’onere contributivo ed il valore della proprietà di cui ciascuno condomino è titolare”.

La Suprema Corte poi, pur non ritenendo espressamente inapplicabile alla materia della ripartizione dei costi dell’acqua quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 1123 del codice civile (“se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”), precisa che il servizio differente verso ciascun condomino deve guardare all’utilizzazione “potenziale”. Dire, infatti, che in una casa non abitata non si consuma acqua può essere vero, ma non è assolutamente certo, per la ragione che in quell’abitazione potrebbe esserci una perdita, oppure si potrebbe utilizzare il servizio per pulizie od altre incombenze saltuarie. Parimenti, stabilire un criterio di ripartizione più oneroso per il caso in cui in un’abitazione siano presenti una o più persone, è sfornito di ogni ragionevolezza, tant’è che i giudici precisano: “… esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all’annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell’acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo”. Pertanto, secondo la Corte di Cassazione deve essere sempre tenuto presente il principio di carattere generale, secondo il quale “in tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che – adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare – esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”.

Concludendo la disquisizione, non può non riconoscersi che il processo logico – giuridico contenuto nella motivazione della citata sentenza della Suprema Corte è davvero innovativo, soprattutto perché ha il merito di denunciare che molte consuetudini condominiali (che alle volte vengono ostinatamente difese nelle assemblea come se si trattasse di regole intoccabili) possono essere contestate così come possono essere impugnate le delibere che non applichino criteri di riparto della spesa diversi da quello indicato dall’art. 1123, comma primo, del codice civile. Di certo, la adozione di sistemi di misurazione dei consumi per ogni singola unità rimane la soluzione giuridicamente e logicamente da preferire, anche se inizialmente comporta maggiori costi per le opere di installazione del contatore di sottrazione; e ciò senza trascurare che il contatore personale induce, anche psicologicamente, ad una maggiore accortezza nel consumo dell’acqua, con conseguente maggior vantaggio economico per tutti!

sabato 17 Ottobre 2015

(modifica il 6 Febbraio 2023, 10:34)

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