L’Italicum e i veri contrappesi che mancano

Azione Cattolica Italiana, Coordinamento Molfetta
Le discussioni sulla nuova legge elettorale confondono ulteriormente le idee ai cittadini, mentre non vengono attuate le riforme necessarie
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di Marco Iasevoli

La legge elettorale è una cosa importante, è il cuore di un sistema democratico. I cittadini avrebbero il diritto di capire sino in fondo quali norme regoleranno rappresentanza e governabilità nei prossimi anni. Non tutti siamo costituzionalisti. Non tutti siamo addetti ai lavori. Non tutti siamo esperti di sistemi istituzionali. Non tutti sappiamo prevedere perfettamente quali conseguenze avrà quella norma, quell’impostazione di fondo, quella modifica. I media dovrebbero aiutare a capire. E la politica stessa dovrebbe aiutare a capire. E, invece, l’una e l’altra fanno di tutto per confondere le idee e le acque.

Quanto sta accadendo intorno all’Italicum è eloquente: il tasso d’ideologia che si sta addensando intorno alla legge elettorale confonde, quasi acceca. Stiamo andando verso una “democrazia decidente”, come sostiene il presidente del Consiglio, o stiamo andando verso l’”autoritarismo”, come sostengono le opposizioni? È un dualismo troppo netto, troppo forte, che non aiuta a scegliere e a prendere posizione. Non è questa la sede per analizzare l’Italicum nel dettaglio.

Il bipartitismo “forza” la rappresentanza? Può essere. Ma forza la rappresentanza anche un governo che cade per il voto contrario di un senatore che rappresenta il 2,5 per cento dell’elettorato. Le preferenze sono il massimo del rapporto eletto-cittadino o sono il canale perfetto per finanziamenti illeciti, clientele e corruzione? Per la governabilità, è meglio una coalizione di forze diverse o un premio di maggioranza dato (al primo turno o al ballottaggio) ad una forza politica che però non ha raggiunto il 50 per cento dei consensi? Si potrebbe discutere all’infinito su ciascuno di questi punti, e restare ciascuno della propria idea.

Il punto su cui riflettere con più profondità e serietà è sul rapporto tra questo sistema di voto e il bicameralismo imperfetto che nascerà (se nascerà) con la riforma costituzionale tuttora in esame. Con due Aule che hanno le stesse funzioni e le stesse prerogative, certamente ci sono più garanzie contro lo strapotere del binomio governo-maggioranza parlamentare. Ma con il bicameralismo perfetto c’è anche molta più difficoltà, nel processo legislativo, a superare i veti di piccoli drappelli parlamentari non per forza animati dalla passione per il bene comune. Pensate a quante volte alcune sacrosante “liberalizzazioni” si sono dovute fermare di fronte a esigui ma decisivi gruppetti di parlamentari il cui unico scopo era quello di rappresentare e difendere le garanzie e le posizioni di rendita di alcune categorie.

Forse, di fronte a questi rompicapi, potremmo provare a non schiacciarci sul dibattito corrente e provare a fare un salto in avanti. Innanzitutto facendo una premessa: gli anticorpi all’autoritarismo, in un Paese “normale”, non dovrebbero essere delegati solo alla legge elettorale, ma bensì essere intrinsecamente legati alla cultura e al “dna” dei cittadini, delle famiglie, dei corpi intermedi, della scuola, delle stesse istituzioni. Se qualcuno teme così tanto l’Italicum e la riforma costituzionale, è in fondo perché teme che la democrazia non sia in tutto e per tutto l’”abito” degli italiani, o di parte di essi. Se questi timori fossero fondati, saremmo di fronte ad un problema molto più grave dei singoli aspetti dell’Italicum o del nuovo Senato.

In seconda battuta, non bisogna pensare che l’unico contrappeso all’Italicum sia avere “senatori elettivi” anziché senatori scelti dai Consigli regionali. Può essere uno dei contrappesi, ma certo non quello risolutivo per le sorti della democrazia. Dovremmo sottolineare invece con grande forza tutti quei contrappesi che le forze politiche non hanno ancora messo in calendario.

Assorbita con l’Italicum la logica del “premier forte”, superato il bicameralismo perfetto (con il rischio che la maggioranza che alla Camera darà la fiducia al governo sia eccessivamente militarizzata per esercitare la propria fedeltà al popolo), servono almeno tre riforme che invece sono sparite da ogni agenda: una legge sul conflitto d’interesse per evitare che l’ascesa al potere politico sia sostenuta dalla forza dei soldi, e non dalla forza dei progetti e delle idee; una seria normativa anticorruzione che tenga insindacabilmente alla larga dalle istituzioni malfattori di ogni specie; una legge sui partiti che ne definisca la loro natura democratica e ne regoli la vita interna in modo che siano luoghi di partecipazione autentica.

Un segno di serietà da parte del governo, della maggioranza e anche delle opposizioni sarebbe quello di mettere subito sul tavolo questi temi, dimostrando che l’attuale riassetto del sistema istituzionale non è finalizzato solo a fotografare i rapporti di forza tra partiti e leader. Un ulteriore segno di serietà di governo e Parlamento sarebbe quello di valutare molto a fondo la seconda parte della riforma costituzionale, riguardante l’articolo 117 della Carta e dunque i rapporti e le competenze di Stato e regioni. Su questo punto in passato già sono stati fatti errori che hanno contribuito alla crescita del debito pubblico. Su questo punto, davvero non siano leggeri e superficiali.

martedì 26 Maggio 2015

(modifica il 6 Febbraio 2023, 10:35)

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