Molfettesi di fuori

Nicolò infermiere in Norvegia: “L’Italia svilisce la nostra professione”

Martina Visaggio
Martina Visaggio
Nicolò Cuocci
«In Norvegia c'è rispetto per la professione e maggior assistenzialismo, basti pensare che il rapporto infermiere-paziente è di 1:3. In Italia questi numeri non sono neanche immaginabili»
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Nicolò Cuocci è un infermiere ventiquattrenne che, nonostante la sua giovane età, veste già i panni del “molfettese di fuori”. Lui ha scelto di mettere da parte le paure e di raccogliere tutto il suo coraggio, portando la sua esperienza e la sua professionalità ai limiti dei confini europei, alla volta della Norvegia.

«Ho voglia di raccontare la mia esperienza, non solo perché in tanti potrebbero identificarsi – afferma – Ma perché tanti altri potrebbero prendere sputo da questa e, se possibile, sfruttare la mia storia come trampolino per una nuova avventura».

Per comprendere meglio questo slancio audace verso il Paese scandinavo, è bene ripercorrere quelle che sono state le sue tappe accademiche.
Dopo il diploma classico conseguito nel 2017, Nicolò ha proseguito i suoi studi presso l’Università di Bari, con sede ad Acquaviva Delle Fonti, laureandosi in Infermieristica. «Sebbene molto vicino a Molfetta – racconta – già ai tempi dell’università, ho vissuto per molto tempo lontano da casa: impegnato tra tirocinio, lezioni ed esami che rendevano il rientro non sempre semplice».

Una volta laureato, nel dicembre 2020, in piena pandemia, è iniziato il suo piccolo periodo di lavoro italiano.

«Sono stato assunto con una pronta disponibilità da parte dell’ASLBA: vi era la necessità di implementare il personale, sia per fronteggiare l’emergenza data dal Covid-19, che proprio in quel periodo ha conosciuto i più alti numeri di contagio – chiarisce – sia per portare avanti la campagna vaccinale».

Nicolò racconta di aver vissuto a pieno tutta la realtà territoriale coperta dall’ASLBA, prima come infermiere domiciliare presso i pazienti positivi e, qualche mese dopo, come infermiere del Dipartimento di Prevenzione, che lo ha coinvolto anche nel programma di vaccinazione del capoluogo pugliese.

«Amo il mio lavoro e non volevo lasciare il mio Paese, soprattutto in un momento di crisi – dichiara – ma la mia professione è stata ed è tutt’ora completamente svilita, nonostante l’importanza dimostrata durante la pandemia».

A seguito di queste riflessioni è maturata la scelta di andar via dall’Italia.

«Inizia a pesarti se hai lavorato 12 ore con delle mascherine che non solo ti tolgono il respiro, ma ti lasciano delle ferite sulla pelle – dice – e quelle ore passate intrappolato in tute di plastica prive di anima, iniziano a pesarti se lungo la campagna vaccinale, la popolazione che fino a qualche mese prima era terrorizzata, inizia a vanificare il tutto con false credenze sui vaccini e sulla malattia stessa».

Il ventiquattrenne inizia a sentire la necessità non solo di una pausa, ma anche di nuovi stimoli e il destino, in qualche modo, decide di andargli incontro. Infatti, nell’agosto 2021, trova un annuncio di lavoro in Norvegia, offerto dalla Global Working: un’agenzia interinale spagnola, con sede ad Alicante. Questa si impegnava, se superato un primo colloquio, ad offrire la formazione linguistica norvegese e, cosa ancor più importante, a mettere in contatto gli infermieri con le agenzie del territorio, che poi si sarebbero occupate dell’assunzione. «Superato il mio primo colloquio già a settembre 2021, ho iniziato a studiare il norvegese da ottobre fino a pochi giorni prima della partenza, avvenuta a maggio 2022 – ricorda – Oggi mi trovo a Fredrikstad, una città nelle vicinanze di Oslo; lavoro presso una casa di riposo e di riabilitazione psichiatrica. Potrò accedere a realtà più complesse e acute, alle quali auspico, una volta migliorato il mio livello di norvegese».

Nicolò racconta come lavorare in Norvegia sia profondamente diverso, soprattutto per il rispetto mostrato nei confronti della sua professione. «C’è collaborazione, scambio di pareri e una “discussione assistenziale” maggiore, basti pensare che il rapporto infermiere-paziente è di 1:8 nelle realtà più semplici come la mia, ma può arrivare anche a 1:3 in ospedale e nelle aree più complesse – chiarisce – In Italia questi numeri non sono neanche immaginabili per i livelli di assistenza che offriamo».

Sono tanti i giovani che come lui hanno scelto di lascare la propria terra per una situazione lavorativa migliore e tutto questo, molto spesso, viene accompagnato da un senso di frustrazione: il nostro Paese forma professionisti capaci e svegli, ma non è in grado di garantire situazioni lavorative di valore.

Il molfettese non nasconde la nostalgia per il nostro clima, le nostre tradizioni culinarie e il nostro folclore, chiaramente, senza dimenticare la famiglia e i suoi affetti. «Io sono figlio di un pescatore, il tipico molfettese – afferma – e come mi ha insegnato il mio Ulisse: il mondo è troppo vasto per rimanere nella tua Itaca, per cui non penso di tornare a casa, almeno per i prossimi anni. So che la mia Molfetta, con il suo porto è sempre lì e, quando avrò terminato il mio viaggio, potrò sempre tornarci».

venerdì 22 Luglio 2022

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Carlo
Carlo
1 anno fa

Volete l’ Ue, bene, godetevela, perchè questo vi meritate.